ARCHIPELS EN LUTTE: LES ÎLES POSTEXOTIQUES


foto: marina



ARCHIPELAGHI IN LOTTA: LE ISOLE POSTESOTICHE
5-28 maggio 2014
centre d'études féminine et études de genre, paris8, bâtiment B2

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l’arcipelago postesotico è la forma geografica delle nostre relazioni, una rappresentazione delle vite anticapitaliste nelle quali siamo impegnate. e’ il passaggio dall’abbandono e dalla solitudine di essere «isola» all’appartenenza e alla ricollocazione geopolitica nel diventare arcipelago.

nella Storia e negli immaginari dominanti le isole sono sconosciute, scoperte, deserte, selvagge e infernali, incontaminate, paradisiache. esotiche, rappresentano degli ideali di puro erotismo.
nelle nostre biografie e nelle nostre fantasie le isole corrispondono a dei luoghi che hanno subito e subiscono delle forme di dominazione nazionale, economica e turistica. i processi culturali, politici e storici che attraversano le isole le trasformano in luoghi complessi da vivere. diventano pesanti: dei luoghi da perdere in cui è difficile tornare, luoghi da decolonizzare, sempre presenti nelle nostre autorappresentazioni e interpretazioni del reale.
in continua tensione con i capitali e le metropoli, siamo impegnate a ripoliticizzare i souvenir, i ricordi e la storia di ognuna di noi in opposizione a tutte le storie imperialiste cui non vogliamo appartenere.
l’isola, luogo vergine o irrimediabilmente violato, non esiste più, e di certo non è mai esistita nei termini in cui l’hanno sognata e la sognano i turisti, gli imprenditori, gli antropologi, scrittori e artisti.
una visione postesotica punta a rendere visibile il conflitto con questo immaginario.

la superficie delle isole è composta da geocorpi e vegetazioni corporee che traducono una visione postesotica delle isole, l'idea di un arcipelago in lotta: le isole hanno lingue che si mescolano e affermano, cerniere aperte per un’omertà che non regge più, bocche vulcaniche. hanno gambe per partire, mani per dire al mondo capitalista che si fotta e autoimploda senza di loro. le isole sono dei luoghi di resistenza e, quindi, di nascita. ogni isola è connessa all’edificio attraverso delle trecce che percorrono il vuoto della sospensione. un femminile teso che costituisce delle corde d’attracco, che fa divenire l’edificio un porto e l’arcipelago un miraggio nella banlieue parisienne, nel 93, a saint denis, per tutte-i quelle-i come noi che hanno la sensazione di vivere nel-la capitale un deserto emozionale.

il cucito è una pratica che non amo perché ho sempre visto mia nonna in ginocchio con gli spilli a rifare gli orli dei pantaloni dei romani che si ammiravano sul grande specchio d'entrata. Il cucito rappresenta la sua forma di sottomissione: perchè esule istriana e minoranza etnica in italia, dagli anni 50 ad oggi.
cucire le isole è stato un processo di auto/osservazione reciproca e collettiva, in cui il fare è stato in stretta relazione con i comportamenti corporei, i vissuti emozionali e il contesto urbano, politico nel quale ci siamo trovate. gli incontri che abbiamo cercato e provocato, quello che vedevamo per strada e dentro i luoghi abitati è confluito nei conflitti e nelle discussioni quotidiane che hanno accompagnato le nostre mani. abbiamo tenuto un journal de bord, una pratica autoetnografica, composto da brevi testi e fotografie per rendere pubblico quello che stava capitando.

le isole sono state realizzate allo shakirail, un centro autogestito, nel XVIII arrondissement di parigi. comprende due enormi stabili davanti le ferrovie più uno spazio sterrato per le galline, per l’orto e per stare al sole. appartiene alla SCNF, ma da tre anni è in convenzione con il collettivo curry vavart che lo gestisce in modo indipendente. non si è trattata di uno spazio occupato, non è un luogo di politica partitica né si definirebbe anticapitalista ma è uno spazio di lavoro artistico composto da ateliers, spazi per le prove di danza, musica e teatro. le pratiche di creazione condivisa, vita comune, solidarietà e vicinanza ne fanno uno spazio di sperimentazione e resistenza.

cucire le isole in questo contesto è stato fondamentale vista la nostra precarietà economica e le condizioni materiali necessarie al processo artistico. ci hanno offerto la possibilità di usare l’atelier couture con tutti gli strumenti e le stoffe, di dormire in uno sleeping (una stanza con tanti letti a disposizione di chi è in residenza), di attingere al free shop per qualsiasi necessità.

le isole destabilizzano il formato del sistema dell’arte contemporanea per vari motivi: la realizzazione in un centro autogestito, l’uso esclusivo di materiale riciclato e di seconda mano, un processo di creazione condiviso. tutto il collettivo ideadestroyingmuros ha partecipato alla realizzazione delle isole. la forma dell’arcipelago è dipesa da tutte. le mani che sono passate sul mare e nel sangue sono moltissime. le isole hanno preso corpo grazie alla presenza, agli occhi, alle parole, al supporto materiale delle persone vicine, che le hanno raggiunte, incontrate, messe in discussione, amate.

all'inizio ci avevano proposto di esporre le isole nella hall des expositions all'entrata dell'università paris8, una vetrina istituzionale consacrata all'arte. quando ci siamo iscritte al centro studi di genere, cinque anni fa, in quello stesso spazio ci si fermava per la raccolta firma per sostenere gli studenti sans papier o per i logements sociaux.
abbiamo insistito perché le isole occupassero lo spazio vuoto del batiment B2, perché stessero proprio li' dove siamo passate noi, un miliardo di volte, per seguire i corsi, per chiedere informazioni sulla nostra iscrizione. e' uno spazio decadente e grigio, sicuro e sporco, come la france. le isole devono entrare in dialogo con il contesto materiale, proponendo degli altrove, immaginari e reali.

l’installazione tende a destrutturare il circuito obbligatorio fondato sull’esposizione in un luogo preposto all’arte e sul vernissage. l’arcipelago si inaugura ogni giorno, tutte le volte che passerà qualcuna-o e penserà: chi perde trova.
in ogni caso anche altrove, anche in uno spazio espositivo tradizionale, grazie alla pratica, ai modi e ai luoghi di realizzazione, le isole costituirebbero un modo di vivere la creazione artistica in connessione ad una coscienza geopolitica, contro l'avanzamento di questo sistema di sviluppo. le isole vogliono dare coraggio a chi, rispetto alla francia colonizzatrice, viene da fuori - è “esotico” nel senso proprio della parola - e ha una storia che è stata sfruttata, cancellata, sottomessa dalla storia eurocentrica e capitale dell'occidente europeo. ognuna delle tre isole porta una parola che compone la frase: "qui perd trouve/chi perde trova", un modo di connettere il proverbio italiano “chi cerca trova” con il proverbio francese “qui perd gagne/chi perde vince” trasformando, attraverso la traduzione, la ricerca in perdita e il vincere in trovare. e' il messaggio che vogliamo trasmettere a paris, uno dei centri dell'europa occidentale, capitale della francia, nazione che si trova ai vertici dell’europa occidentale, costruita sullo sfruttamento colonizzatore e capitalista.